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ISCRIVITIAncora non sappiamo come le nuove tecnologie e la cultura che le governa cambieranno il futuro prossimo del capitalismo. Sappiamo però che è in atto una nuova grande trasformazione, che muterà non soltanto i tempi e l’organizzazione del lavoro, ma l’idea stessa di lavoro, le relazioni interpersonali, i modelli culturali, il rapporto uomo-natura. È una transizione che va governata con saggezza, e non soltanto con razionalità, evitando sia l’esaltazione acritica del progresso, sia il timore dei suoi effetti distruttivi sull’occupazione. Parte da questi presupposti la ricerca qui presentata, che focalizza l’attenzione su quanto è avvenuto negli ultimi vent’anni in Emilia-Romagna a livello di impatto della rivoluzione digitale sui livelli occupazionali e sulla trasformazione delle skills lavorative richieste dai nuovi modi di produzione. Dalle esperienze di quel grande «incubatore» della trasformazione manifatturiera che è la via Emilia si evince che nonostante lo spiazzamento causato dall’automazione e dall’intelligenza artificiale è possibile, tramite queste ultime, attivare forze che aumentano la domanda di lavoro. Lo sviluppo della meccatronica, del biomedicale, dell’ICT e il trattamento dei big data ne sono un esempio.
Stefano Zamagni insegna Economia politica all’Università di Bologna ed è Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University di Bologna. Tra i suoi libri con il Mulino ricordiamo «Avarizia» (2009), «Economia civile» (con L. Bruni, 2015), «Prudenza» (2015) e, in corso di pubblicazione, «Responsabilità è libertà. Per civilizzare il mercato» (2019).