Nel mondo romano la leva di un esercito iniziava sempre con soldati chiamati Valerius o Salvius perché considerati nomi di buon auspicio; i provvedimenti di damnatio memoriae comportavano il divieto per i discendenti del condannato di portare il suo medesimo prenome o ne privavano i figli anche viventi; i nomi geografici di cattivo auspicio, come Malevento o Epidamno, erano modificati in toponimi beneauguranti (Benevento) o almeno neutri (Durazzo), mentre alle nuove co-lonie si davano nomi che suggerissero abbondanza o potenza, come Florentia o Valentia. Un riserbo impenetrabile avvolgeva poi il nome segreto di Roma, che andava custodito per evitare che i nemici se ne appropriassero a danno della città. I nomi erano coinvolti insomma in un gran numero di pratiche culturali, delle quali dà conto questa indagine originale e affascinante.
Mario Lentano insegna Lingua e letteratura latina all’Università di Siena. Fra i suoi numerosi volumi ricordiamo «Il mito di Enea» (con M. Bettini, Einaudi, 2013), «La declamazione a Roma» (Palumbo, 2017) e, per il Mulino, «La prova del sangue. Storie di identità e storie di legittimità nella cultura latina» (2007).