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#10 | Bologna | 9 aprile 2024
 

Cara lettrice, caro lettore,

bentornato in Macina.

Oggi viaggiamo alla scoperta dell’altra Europa in compagnia di un libro appena uscito, scritto dal giornalista Beda Romano.

In undici capitoli Romano ci accompagna in altrettanti paesi dell’Europa centro-orientale, dalla Lettonia alla Bulgaria, alla ricerca del confine tra Asia e Europa, confine che in termini geografici non esiste.

Sono la cultura e la politica a definire cosa è Europa. Il libro di Romano ci è quindi sembrato urgente, perché sono trascorsi vent’anni dal grande allargamento a Est dell’Unione europea, e proprio da Est tornano a soffiare venti di guerra. La Russia, che partecipa culturalmente all’identità europea, politicamente si trasforma nel confine, nel non plus ultra della nostra unione.

Nei giorni scorsi Romano è venuto a trovarci in editrice e ci ha rilasciato questa breve intervista.

Per darti un’idea del libro, ecco uno uno stralcio dalla premessa:

Dalla Slovenia alla Lituania, dalla Polonia alla Croazia, dalla Repubblica Ceca alla Bulgaria, gli undici paesi dell’Europa centro-orientale che hanno aderito all’Unione europea tra il 2004 e il 2013 hanno vissuto per secoli all’ombra degli imperi: quello asburgico, quello ottomano, quello russo e sovietico, e anche gli imperi tedesco e francese.

In alcuni l’esperienza ha lasciato in eredità un buon ricordo, in altri meno. L’assetto imperiale ha la curiosa abilità di tramandare istituzioni e tradizioni, ma anche di limitare lo sviluppo democratico e sociale. Troppo spesso le recondite differenze vengono attribuite solo al recente passato comunista che ha segnato per oltre quarant’anni l’anima e le menti nell’ex blocco sovietico.

Eppure, già nel 1946, a guerra appena terminata, lo studioso ungherese István Bibó dette alle stampe un piccolo volume, intitolato «Miseria dei piccoli Stati dell’Europa orientale», nel quale faceva risalire le divergenze a un passato molto più remoto: «Quelle istituzioni che in Europa occidentale hanno creato i prodromi della democrazia – scriveva – hanno operato meno intensivamente nelle società dell’Europa centro e orientale». E subito l’autore precisava: «Il territorio su cui si estendeva il feudalesimo inteso nel senso occidentale, fondato su relazioni personali e contrattuali, arrivava solo fino all’Elba, oltre iniziava il regno del predominio, rigido e uniforme, della servitù della gleba».

Qualche decennio dopo, nel 1983, Milan Kundera assunse tutt’altra posizione, pubblicando nella rivista francese «Le Débat» un lungo articolo dal titolo evocativo: «Un Occidente prigioniero, o La tragedia dell’Europa centrale». La tesi dello scrittore ceco era che, nonostante la dittatura comunista, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Polonia appartenevano culturalmente al grande mondo occidentale: «La parola Europa non è per loro un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente». Egli osserva che fu il riformatore ceco Jan Hus a promuovere fin dal Quattrocento la traduzione della Bibbia in rumeno e in ungherese; che l’arte barocca, nata in Italia, domina una regione che va da Salisburgo in Austria a Vilnius in Lituania; e infine che la musica dell’Ottocento è tanto di Arnold Schönberg quanto di Béla Bartók.

Chi dei due studiosi ha ragione? Entrambi, probabilmente. In realtà, la geografia ci viene in aiuto nel conciliare visioni divergenti. Se è vero che nei fatti l’Europa non è altro che il prolungamento del continente asiatico, tutti i paesi europei hanno in comune almeno il confronto con l’Oriente. È da est che giunsero le incursioni più temibili, le influenze più pericolose, quelle persiane, mongole, assire o tartare.

In una lezione che tenne al Collège de France, negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, lo storico Lucien Febvre affermò: «L’Europa si è costruita contro l’Asia». In quest’ottica, le differenze fra le due Europe improvvisamente si assottigliano, e i divari economici, culturali e forse anche politici diventano meri orpelli statistici sulla lunga curva della storia.

In fondo, osservati in una prospettiva di più lungo termine, gli stessi campi di battaglia di cui è seminato il continente riflettono un’incredibile unità storica e forse anche, come direbbero i tedeschi, una «Schicksalsgemeinschaft», una comunità di destino.
 


Ti segnaliamo con piacere che l’Altra Europa è anche uno dei viaggi con lautore che il Mulino organizza per il 2024. A guidarci tra Estonia e Lettonia sarà proprio Beda Romano: qui trovi tutte le informazioni.
 

 


Un viaggio nell’italiano

Poco sopra abbiamo utilizzato l’espressione latina non plus ultra. Ma da dove viene? Perché è rimasta? Che significato assume questo latinismo nella lingua italiana?

Ci aiuta a capirlo il linguista Alessio Ricci nella terza puntata della miniserie Youtube a partire dal libro La vita delle parole a cura di Giuseppe Antonelli.

 


 

Ed eccoci alla rubrica dedicata al nostro 70° compleanno. Nelle puntate #3 e #4 abbiamo già presentato due dei fondatori della rivista il Mulino: Fabio Luca Cavazza e Nicola Matteucci. Oggi ne ricordiamo un altro: Luigi Pedrazzi.

Diversamente dagli altri ex compagni del liceo Galvani da cui è partita l’avventura mulinesca, Pedrazzi non insegnò all’Università ma nelle scuole superiori: un’esperienza che attraversa le riflessioni della rivista il Mulino, che «Gigi» ha diretto dal 1961 al 1965, e le attività dell’editrice che ha contribuito a fondare, presiedendola dal 1965 al 1974.

La sua figura poliedrica, di intellettuale allegro, di cattolico democratico e di credente laico è riassunta in questo podcast che mette in dialogo l’amico Giuseppe Lovato e il nipote Nicola Pedrazzi.

Per oggi è tutto, alla settimana prossima!

 



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