«È una storia di sparizioni, questa. Sparizioni di persone che non volevano o non si aspettavano di dover sparire, sparizioni di persone responsabili delle sparizioni precedenti, sparizioni di persone che invece scelsero di sparire, per aver salva la vita o, all’opposto, per rifiutarla e sbarazzarsene. Una storia di fughe e di cacce, di simulazioni e dissimulazioni, di inganni e beffe, di benefiche o (molto più spesso) venefiche casualità. Una storia che, pur con le sue eccezioni, conferma l’amara, eterna diagnosi dell’homo homini lupus»
Una storia sbagliata, che coinvolge molti ebrei della comunità triestina e ha il suo centro simbolico in una casa di via San Nicolò (la stessa in cui abitò Joyce), dove si trovavano ad un tempo la libreria antiquaria dell’ebreo Umberto Saba e il laboratorio di sartoria dell’ebreo Grini, lontano parente di Saba. Un figlio di questo sarto, durante l’occupazione nazista, collaborerà attivamente a identificare e catturare molti suoi correligionari, poi deportati e uccisi. Attorno alle infami imprese dell’ebreo traditore, ricostruite anche in base alle risultanze processuali, ciò che Curci delinea è però una rete ambigua di legami, di corresponsabilità, di vigliaccherie, di reticenze e silenzi che avviluppa Trieste. Una storia che si vorrebbe dimenticare, e che tuttavia riveste uno straordinario valore esemplare.
Roberto Curci, giornalista, scrittore, critico d’arte, ha diretto per molti anni le pagine culturali del «Piccolo» di Trieste. Ha pubblicato libri su Marcello Dudovich, su Joyce, sulle scrittrici triestine, ed è autore di romanzi e testi teatrali e radiofonici.