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ISCRIVITI«Non è nell’eccezionale e nello straordinario che l’esperienza si realizza e prende forma, ma nell’abituale normalità dell’esistenza: è qui, nel quotidiano, che vengono tessute le fila della comunicazione tra le generazioni.»
La nostra vita è ricca di ritualità e rappresentazioni: ricorriamo a pratiche performative per mostrarci, raccontarci e «metterci in scena» quotidianamente. È così che facciamo esperienza del mondo e lo riproduciamo, interpretandolo e riscrivendolo. Victor Turner si chiede se l’esperienza può tornare a essere un momento di verità e di incontro: per riaffermare una soggettività che si riscopra padrona del proprio destino, al di là della macrofisica del dominio che l’ha estromessa da ogni possibilità di gestione collettiva. Ritrovare il senso di un’esperienza così concepita ci è più che mai necessario, oggi che il rumore di fondo si fa assordante e nulla si fissa e si deposita, gli accadimenti più insignificanti vengono trasformati in «eventi», navigare rimanda solo a Internet e la memoria che conta è quella del nostro smartphone.
Victor Turner (1920-1983), tra i maggiori esponenti dell’antropologia sociale britannica, ha insegnato dapprima a Manchester e poi in varie università americane (Cornell, Chicago, Virginia). Sue opere edite dal Mulino sono «Dal rito al teatro» (1986) e «Antropologia della performance» (1993).