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ISCRIVITIDopo "La città postindustriale" e "La città bella", il terzo volume di una trilogia ideale sul destino delle nostre città e la salvaguardia del nostro patrimonio storico e culturale.
Con la passione e la nostalgia per la perduta bellezza che lo contraddistinguono, Pier Luigi Cervellati riflette criticamente sul suo mestiere e sul ruolo dell'architetto urbanista, prendendo atto dei limiti che l'ambiente pone all'idea di uno sviluppo urbano e produttivo senza fine. L'avvio del terzo millennio si annuncia con il rifiuto di molte regole e comportamenti celebrati dalla razionalità pianificatoria della società industriale. In questo quadro non si tratta più di "rifondare", "ricostruire" o "riprogettare" la città, quanto di "curarla", imparando umilmente l'arte, tutta artigianale, del restauro e della manutenzione urbana e paesaggistica. Molti sono i problemi di metodo che pone oggi all'urbanista l'intervento sull'assetto di una città, o meglio su quell'aggregato urbano e suburbano che sono diventate le nostre città. Anche il problema del centro storico che tanto ha appassionato gli addetti ai lavori negli anni '60 non si pone più negli stessi termini. Il centro storico semplicemente non esiste più: ci sono le banche al posto dei caffè, gli uffici al posto degli alloggi. Lo spazio da tutelare per non perdere la nostra identità storica e culturale oggi oltrepassa le mura (peraltro già abbattute) e comprende anche la periferia e la campagna, secondo un'idea globale di territorio, in cui il limite diventa una risorsa. In un'ottica rovesciata rispetto ai precedenti canoni si tratta quindi di trasformare in centro la periferia, suddividendo l'urbanizzato in strutture che consentano la formazione di piccole e medie comunità, recuperando ciò che già possediamo, restaurando ciò che è stato alterato, ripristinando le condizioni originarie dei luoghi deturpati.
Pier Luigi Cervellati insegna Progettazione del territorio nella facoltà di Architettura dell'Università di Venezia.