Romano Prodi
La mia visione dei fatti
Cinque anni di governo in Europa

 Un brano dal testo

Cittadini pronti al futuro, pagg. 145 e ss.

Le nostre democrazie stanno vivendo una situazione di affaticamento sempre più palese. Sono in difficoltà nel resistere alle pressioni che derivano dagli interessi organizzati, in difficoltà nell’impedire che i mezzi di informazione si trasformino da strumenti per il controllo sull’esercizio del potere in strumenti per condizionare e dominare la politica e l’intera società, in difficoltà nel rispondere alla domanda di partecipazione di chi non trova i mezzi per far sentire la propria voce e a cui i soli appuntamenti elettorali non bastano più. Riscoprire il senso profondo del concetto di cittadinanza è a mio avviso il rimedio a ciascuno di questi mali. La cittadinanza implica, infatti, un’idea di appartenenza ad una comunità, ad un corpo. Attraverso questo senso di appartenenza è possibile riscoprire il gusto della partecipazione e, dunque, è possibile riprendere il controllo sugli eventi e sulle trasformazioni che più hanno impatto sulle nostre vite. Il significato di ciò è ovvio: è difficile pensare che un individuo sia veramente disposto a spendere delle energie per mettersi d’accordo con un altro individuo se non condivide con lui un’ideale comunità di destino. Per questo il concetto di cittadinanza è strettamente legato a un valore chiave per la storia della nostra integrazione, quello della solidarietà. Non è un caso che, se penso ai miei cinque anni alla Commissione, uno dei momenti in cui certamente mi sono sentito cittadino europeo è stato all’indomani delle gravi inondazioni che avevano colpito la Germania, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e altri paesi dell’Europa centrale e orientale. Era l’estate del 2003. Ricordo che mi chiamò il presidente Vaclav Havel e che con lui decidemmo di visitare di persona le zone colpite dalle alluvioni. I media continuavano a mostrare le immagini di Praga, ma sapevamo che era indispensabile dare un segnale a quei villaggi e a quelle popolazioni che non vivevano in città. Qui si soffriva di più e qui dovevamo andare. Era importante perché dovevamo dimostrare ai cittadini cechi che entrare a far parte della famiglia europea significava diventare membri di una comunità fondata sulla solidarietà. Ed era fondamentale muoversi in fretta per assicurare che l’Unione non venisse percepita come una lenta macchina burocratica lontana dai cittadini. Andai con il ministro degli Esteri tedesco Fischer a Dresda e nei paesi vicini: ritrovammo le stesse immagini e gli stessi racconti che avevamo raccolto nella Repubblica Ceca. Tenemmo una riunione straordinaria a Berlino, nel corso della quale prendemmo decisioni importanti, per permettere un uso elastico dei fondi strutturali, concedere aiuti straordinari agli agricoltori, semplificare la procedura per la ricostruzione e per gli aiuti di stato. Di lì a poco, infine, la Commissione avrebbe presentato un vero e proprio progetto europeo per far fronte alle grandi catastrofi. Interpretai questi gesti in modo semplice, ma consapevole del messaggio che erano in grado di portare: la solidarietà di tutti gli europei a quei cittadini tedeschi, cechi, slovacchi, ungheresi e austriaci che erano stati colpiti da un’enorme catastrofe naturale, una solidarietà che non teneva conto dei confini, e semplicemente si dava, e nel darsi si rafforzava. Questa pagina di amicizia tra la gente, e altre simili scritte in occasioni diverse, appuntate nel mio diario e impresse nella mia memoria, nutrono la mia idea dell’Europa. Un’Europa che va oltre un mercato unico e va anche oltre un governo europeo o una semplice politica europea. La mia idea è quella di una società europea aperta, qualcosa che noi a Bruxelles abbiamo cercato di costruire lavorando su quelli che sono i temi più sentiti dagli europei, i temi che più da vicino toccano la vita quotidiana dei cittadini. Se c’è un messaggio che io vorrei che tutti portassero con sé, infatti, è questo: l’Unione europea esiste per il bene dei suoi cittadini e sono i cittadini europei che devono forgiare il futuro dell’Europa. Solo interessando pienamente la società civile e i cittadini negli sviluppi politici possiamo rendere l’Europa trasparente e democraticamente affidabile. Questa è la sola via per vedere nascere e crescere cittadini pronti al futuro. Preparare i cittadini al futuro e rispondere in modo concreto ai loro bisogni ha significato, tra le altre cose, dedicare molte energie alla costruzione di uno spazio di libertà e sicurezza, alla messa in campo di iniziative che dessero luogo ad una vera e propria innovazione democratica europea, a una politica ambientale e della salute all’avanguardia, alla riforma della politica agricola e della politica della pesca, e, infine, a un progetto innovativo di reti in grado di fare, di un’Europa più piccola, un’Europa allo stesso tempo più grande e più vicina. Mi sembrava questo un modo per dare ai cittadini gli strumenti indispensabili per sentirsi parte di un corpo nuovo.


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