Massimo Livi Bacci
Avanti giovani, alla riscossa
Come uscire dalla crisi giovanile in Italia
Un brano dal testo |
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Capitolo IV. La riscossa, pagg. 79-81.
1. Difficile, ma necessaria
Una riscossa dei giovani è urgente e necessaria per riavviare i
meccanismi dello sviluppo. I giovani stanno diventando una risorsa
scarsa ma dovranno fronteggiare molti impegni. Si trovano, anzitutto,
gravati da un debito pubblico assai maggiore rispetto alle
generazioni passate e si confrontano con un mercato del lavoro assai
più concorrenziale e instabile. Saranno costretti a lavorare fino a età
più tarda di quanto abbiano fatto i loro genitori o i loro nonni se
vorranno godere di una dignitosa copertura pensionistica. Inoltre,
dovranno invertire la parsimonia riproduttiva dei loro genitori se
la società vorrà riequilibrare la declinante demografia.
Poiché i giovani sono pochi, logica vorrebbe che su di loro si
investisse molto, assegnandogli maggiori responsabilità e funzioni
di rilievo. Ma così non è, come si è tentato di dimostrare con un
certo numero di prove oggettive: la transizione all’età adulta e
all’autonomia avviene a ritmo rallentato rispetto al passato e agli
altri paesi europei. Nella cultura, nella società, nell’economia,
nella politica i giovani hanno perso peso e oggi contano meno di
ieri. Hanno, in estrema sintesi, perduto prerogative, che debbono
essere restituite loro se si vuole rimettere in moto lo sviluppo. Ma
poiché il fenomeno di cui trattiamo non ha spiegazioni semplici,
anche i rimedi non possono che essere complessi. Il ritardo nella
transizione all’autonomia e la conseguente perdita di prerogative
sono il risultato di un insieme intricato di cause, sono il portato di
una sindrome. Non esiste una causa specifica, o un ben identificato «colpevole» che possa essere eliminato con poche vigorose mosse.
Un esempio: se le coppie si formano tardi e fanno le loro scelte
riproduttive a età elevate e con troppa parsimonia, ciò è dovuto a una politica formativa troppo diluita nel tempo, a un’organizzazione
della società e del mercato del lavoro che rende più costoso
(per le donne) l’avere figli, a trasferimenti sociali particolarmente
esigui per le famiglie, a una politica della casa che ha favorito la proprietà rispetto all’affitto.
Che significa riscossa? Niente di militaresco, di agonistico o di
rivendicativo. Anzitutto i giovani non rappresentano né una classe,
né un ceto, né un gruppo organizzato. Del resto, la «metrica»
stessa della gioventù può essere deformata a volontà, come è stato
discusso nel primo capitolo. In Italia, si può essere apprendisti in
senso tecnico-giuridico fino a trent’anni, distorcendo il significato
di un termine che indicava, per un ragazzo non ancora uomo, la
fase dell’apprendimento artigianale a bottega.
Gli imprenditori possono appartenere alla categoria dei «giovani» industriali fino a quarant’anni. Il termine ragazzo o ragazza trova
oggi un’estensione che rincorre il ciclo di vita oltre la mezza età. Per
molte élite intellettuali formalizzate essere «troppo giovani» – con
meno di cinquant’anni – è un serio impedimento all’ammissione.
L’unica cosa che accomuna i giovani è l’appartenenza a una o più
generazioni e il transitare, a una certa età, per una determinata
fase storica. Fatto senza dubbio di grande rilevanza, specialmente
durante il periodo formativo e quando il contesto storico è segnato
da forti discontinuità. Ma meno rilevante quando esiste una
continuità o una gradualità nel mutamento, per cui il succedersi
e il concatenarsi delle generazioni non provoca discontinuità
apprezzabili. È, in fondo, ciò che è avvenuto in Europa, e nel nostro paese, negli ultimi vent’anni, caratterizzati – all’inizio – dal
crollo del muro di Berlino, ma trascorsi in sostanziale continuità
economica, sociale e civile anche se chi vi è immerso può percepire
una realtà tumultuosa. Ma tumultuosa rispetto a cosa?
Dunque i giovani non sono una casta, una classe, un ceto; non
sono più uniti tra loro di quanto lo siano gli adulti o gli anziani.
Soffrono di analoghe disuguaglianze economiche, si dividono secondo
simili linee politiche, vivono contesti culturali distinti. Non
formando un gruppo coeso, la loro riscossa non è rivendicativa
e non è «contro» qualcuno o qualcosa. Essa va piuttosto intesa
come una riconquista di quelle prerogative perdute di cui abbiamo parlato, di quello spazio di azione politico, sociale ed economico
dal quale sono stati esclusi, o che hanno abbandonato, con danno per sé e per lo sviluppo del paese. È uno spazio che i giovani
devono riconquistare: una riscossa difficile, ma necessaria.
Ma come iniziarla ed eventualmente portarla a termine? Tre vie
possono essere esperite. La prima è di carattere piuttosto ideale,
di natura politica, culturale o religiosa: essa spetta, essenzialmente,
a leader capaci di motivare le scelte individuali, rafforzando l’autostima,
spingendo all’autonomia, valorizzando il rischio. Meglio sarebbe, senza dubbio, se questa leadership fosse generata direttamente
dai giovani, in una sorta di autonomo rinnovamento. La
seconda è di tipo normativo, e opera modificando le regole in senso
più favorevole ai giovani, per esempio abbassando l’età al voto,
attivo o passivo, imponendo «quote», aumentando le risorse a disposizione per determinate finalità (borse di studio, contributi per
l’affitto, detassazione del lavoro giovanile). La terza è di processo:
modificando i meccanismi che rafforzano l’autonomia giovanile.
Nessuna delle tre vie può essere trascurata anche se, in seguito,
tratteremo della seconda e della terza e non della prima.
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