Carlo M. Cipolla
Allegro ma non troppo
Un brano dal testo |
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Tanto per cominciare, pagg. 5 e ss.
La vita è una cosa seria, molto spesso tragica,
qualche volta comica. I Greci dell’età classica
avvertivano profondamente e coltivavano
il senso tragico della vita. I Romani, in genere più
pratici, non ne facevano una tragedia ma consideravano
la vita una cosa seria: di conseguenza tra le
qualità umane apprezzavano in modo particolare
la gravitas e tenevano in poco conto la levitas.
Cosa sia il tragico non è difficile né da capire
né da definire e se ad un Tizio gira per la testa di
apparire come una figura tragica non gli è difficile
riuscirvi
anche se Madre Natura non ha già provveduto
alla bisogna. La serietà è pure una qualità
relativamente facile da capire, da definire e per certi
versi da praticare. Quel che è difficile da definire e che non a tutti è dato di percepire ed apprezzare
è il comico. E l’umorismo che consiste nella capacità
di intendere, apprezzare ed esprimere il comico
è una dote piuttosto rara tra gli esseri umani.
Intendiamoci: l’umorismo grossolano, facilone,
volgare, prefabbricato (= barzelletta) è alla portata
di molti ma non è vero umorismo. È un travestimento
dell’umorismo. Il termine umorismo deriva dal termine «umore» e si riferisce ad una sottile
e felice disposizione mentale solitamente basata su
un fondamento di equilibrio psicologico e di benessere
fisiologico. Schiere di scrittori, filosofi, epistemologi,
linguisti hanno ripetutamente tentato di
definire e spiegare l’umorismo. Ma dare una definizione
dell’umorismo è cosa difficile per non dire
impossibile. Tanto è vero che se una battuta umoristica
non è percepita come tale dall’interlocutore è
praticamente inutile se non addirittura controproducente
cercare di spiegargliela.
Chiaramente l’umorismo è la capacità intelligente
e sottile di rilevare e rappresentare l’aspetto
comico della realtà. Ma è anche molto di più.
Anzitutto, come scrissero Devoto e Oli, l’umorismo
non deve implicare una posizione ostile bensì
una profonda e spesso indulgente simpatia umana.
Inoltre l’umorismo implica la percezione istintiva
del momento e del luogo in cui può essere espresso.
Fare dell’umorismo sulla precarietà della vita
umana al capezzale di un moribondo non è umorismo.
D’altra parte
quando quel gentiluomo francese
che saliva i gradini che lo portavano alla ghigliottina,
avendo inciampato in uno dei gradini,
rivolgendosi alle guardie esclamò: «dicono che inciampare
porti sfortuna», quel gentiluomo meritava
certamente che la sua testa venisse risparmiata. L’umorismo è così intimamente legato alla scelta
accurata e specifica dell’espressione verbale in
cui viene prodotto che difficilmente si riesce a tradurlo
da una lingua in un’altra. Il che anche significa
che è così permeato dei caratteri della cultura
in cui viene prodotto che riesce sovente del tutto
incomprensibile quando travasato in un ambiente
culturale diverso.
L’umorismo va distinto dall’ironia. Quando si fa
dell’ironia si ride degli altri. Quando si fa dell’umorismo
si ride con gli altri. L’ironia ingenera tensioni
e conflitti. L’umorismo quando usato nella misura
giusta e nel momento giusto (e se non è usato nella
misura giusta e nel momento giusto non è umorismo)
è il solvente per eccellenza per sgonfiare tensioni,
risolvere situazioni altrimenti penose, facilitare
rapporti e relazioni umane.
È mia profonda convinzione quindi che ogniqualvolta
si presenti l’occasione di praticare del
l’umorismo sia un dovere sociale far sì che tale occasione
non vada perduta.
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